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Carnia La Carnia è mutata; ma molta parte della Carnia, nonostante le spoliazioni materiali e mentali, a differenza di altre aree alpine, ha ancora una natura (se non fosse per la rapina delle acque) sufficientemente preservata e non ha abbandonato il vecchio; ha saputo in parte miscelarlo e in parte metterlo sotto piega. Non si sa mai: vecchia e buona regola. Ha come steso un telo di modernità sopra ciò che c’era, senza buttarlo. Basta sollevare il velo per ritrovare ciò che si era vissuto qualche decennio fa. Il mondo di ieri, così, non lo si ritrova solo nella memoria e non è solo questione di nostalgia; lo si ritrova anche frugando, sapendo cercare e sapendo vedere. Forse per questo la Carnia del libro di Ulderica non ha nulla di triste e di rancoroso. Ha il volto e la grinta delle attivissime vecchie che lei continua a fotografare negli orti e nei prati, e ha i visi, in cui tornano le stesse fisionomie, dei bambini che girano a siops e bruciano la vecchia restando padroni delle loro feste, non recitandole per quelli di fuori.
Gian Paolo Gri |
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Di Dante Spinotti, tratto da ‘Carnia’. Se vado a pescare nella memoria più lontana le prime immagini di quando ero bambino, le visioni più ricche di emozioni, più forti, come fossero spezzoni cinematografici (o come fotografie appunto) sono immagini della Carnia. Questo perché la Carnia aveva (e ancora forse ha) una diversità culturale, di gente forte che viveva con energia e intelligenza, ma anche con raffinatezza, nel territorio difficile della montagna. |